lunedì 23 marzo 2009

La stele di Rosetta


Il 19 luglio 1799 nella città egiziana di Al-Rashid (chiamata dagli europei Rosetta) durante la campagna in Egitto di Napoleone, un ufficiale francese rinvenne una lapide in granito alta poco più di un metro e larga circa 70 centimetri, che sul lato lucido presentava un'iscrizione in tre scritture diverse. Grazie ad essa, vent'anni più tardi, Jean-Francois Champollion sarebbe riuscito a decodificare i caratteri geroglifici egizi. Il testo inciso sulla stele è diviso in tre parti: la parte superiore, composta da 14 righe, è scritta in caratteri geroglifici; al centro compaiono 32 righe in scrittura corsiva, il demotico, cioè la scrittura egizia dell'ultima fase; nella parte inferiore sono invece tracciate 54 righe in greco, lingua parlata e scritta in Egitto fin dall'epoca ellenistica. Di fronte all'impossibilità di decifrare i geroglifici e il testo in demotico, entrambi forme scritte di una lingua morta (dell'egiziano), gli studiosi francesi si dedicarono all'iscrizione in greco. La traduzione rivelò che si trattava di un decreto promulgato a Menfi il diciottesimo giorno del secondo mese della stagione di Peret (27 marzo 196 a.C.) dai sacerdoti egiziani, ivi riuniti per celebrare il primo anniversario dell'ascesa al trono del faraone Tolomeo V Epifane. Il testo in sé non forniva alcuna informazione storicamente rilevante, ma nella parte finale offriva agli studiosi la traccia di cui avevano bisogno. Infatti, i sacerdoti ordinavano che si realizzassero copie in pietra del testo per i templi più importanti e che fosse inciso sia in lingua egiziana, con la "scrittura delle parole divine" (i geroglifici), sia nella scrittura del popolo (il demotico), sia nella lingua greca. Si trattava perciò di uno stesso testo in tre distinte versioni. Per gli studiosi ciò offriva quindi l'opportunità di decifrare, attraverso il confronto con la versione greca, le due scritture millenarie fino a quel momento incomprensibili.

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