mercoledì 25 febbraio 2009

Scienziati e comunicazione

Gli scienziati comunicano per trasferire i risultati delle proprie ricerche al mondo produttivo e per dialogare con gli studenti. Di rado coinvolgono direttamente il pubblico e solo su argomenti di notevole attenzione sociale, come ambiente e salute. È quanto attesta un'indagine realizzata da Alba L'Astorina dell'Istituto per il Rilevamento Elettromagnetico dell'Ambiente (Irea-Cnr), i cui risultati sono stati presentati il 27 gennaio 2009 nel corso della giornata "Ricercare e comunicare: teorie e buone pratiche negli enti di ricerca", che si è svolta nell'Area di ricerca Milano1 del Cnr.

A fare da "osservatorio" sono stati gli stessi istituti del Cnr, ai quali tra il 2007 e il 2008 sono state poste domande relative ai modi ed agli obiettivi delle loro attività di comunicazione. Ha risposto il 60,5% degli istituti. La maggior parte della comunicazione attivata (il 57%) è finalizzata alla diffusione dei risultati e alla divulgazione dei contenuti delle attività scientifiche, il 21% a stabilire contatti con il mondo produttivo tramite il trasferimento tecnologico, il 15% è diretta alla scuola. In minima parte (5%) la comunicazione è invece mirata alla partecipazione diretta del "pubblico", limitatamente ai settori di maggiore attenzione sociale (ambiente e salute). La maggior parte dei ricercatori intervistati ritiene la comunicazione "necessaria" (oltre il 25%); molti la ritengono "utile" (20% circa) o "doverosa", qualcuno ritiene sia "interessante". Pochissimi la considerano "facoltativa" e nessuno "una perdita di tempo". I primi soggetti con cui gli scienziati ritengono sia utile comunicare sono il mondo produttivo e gli amministratori, entrambi indicati da circa un terzo del campione, seguiti da insegnanti, studenti e mass media. I politici sono i referenti con i quali risulta più difficile stabilire un dialogo; mentre i ricercatori si sentono maggiormente compresi dal pubblico "generico" (con cui è più "facile" parlare).

Un'altra indagine dello stesso gruppo di ricerca dell'Irea-Cnr si concentra invece sulla definizione di comunicazione della scienza data da coloro che, negli istituti di ricerca, se ne occupano o vorrebbero farlo. I fattori considerati più importanti sono: comunicare soluzioni scientifiche e tecnologiche di rilevanza nella vita di tutti i giorni (49%), trasferire conoscenze attendibili (47%) e aprire un dialogo con le diverse parti sociali (36%). I dati indicano anche gli ostacoli incontrati nella comunicazione: il 48% dei ricercatori trova difficile esprimersi in modo chiaro e semplice, mentre il 44% accusa gli operatori dei media di imprecisione; meno sentita la percezione che il pubblico dei cittadini non sia preparato a recepire i temi scientifici (31%). Questo conferma che per i ricercatori è più facile comunicare con il cittadino "medio" che con i professionisti dell'informazione.

mercoledì 11 febbraio 2009

Il problema dei cambiamenti climatici globali

Il clima terrestre si sta modificando non solo per cause naturali, ma soprattutto per cause antropiche. È questa la conclusione del rapporto 2007 dell'IPCC (Intergovernamental Panel for Climate Change), dal quale si apprende come l'incremento globale della concentrazione di biossido di carbonio sia principalmente dovuto all'uso di combustibili fossili e ai cambiamenti nell'utilizzo dei suoli, mentre gli incrementi di metano e ossido di azoto derivano, soprattutto, dall'agricoltura e dalla zootecnia. La temperatura superficiale media del globo è aumentata nell'ultimo secolo (1906-2005) di 0,74 °C. A partire dal 1950, ogni dieci anni, la temperatura ha avuto un incremento medio di 0,13°C, assumendo un trend lineare. Undici dei dodici anni passati si classificano tra i più caldi a partire dal 1850, cioè da quando esistono misure strumentali attendibili della temperatura terrestre. L'Europa ha avuto nell'ultimo secolo un innalzamento della temperatura di 0,94°C, quindi superiore a quello globale. I dati italiani sono in linea con quelli dell'intera Europa: è stato stimato circa un grado di innalzamento per le temperature del nostro paese sempre relativamente agli ultimi cento anni. Quindi il trend su 100 anni della temperatura atmosferica media in Italia risulta essere più alto del trend su 100 anni della temperatura atmosferica media globale.

Le previsioni relative alle future emissioni di gas serra e le proiezioni dei modelli climatici fanno presumere, per la fine di questo secolo, un riscaldamento compreso tra 1,8 e 4°C rispetto al periodo 1980-1999. È, dunque, probabile un ulteriore aumento della temperatura e dei fenomeni legati ai cambiamenti climatici, quali la variazione del regime delle precipitazioni con un aumento delle intensità di pioggia; l'aumento di fenomeni quali piene in autunno o inverno, la siccità in primavera ed estate, le ondate di calore, gli incendi. Altri cambiamenti riguardano le temperature superficiali dei nostri mari sia costieri sia profondi, che potrebbero portare ad un'alterazione del regime delle correnti e degli equilibri che regolano la produzione di risorse biologiche ed il ciclo dell'acqua. In particolare si prevede che tali modificazioni avranno un forte impatto sugli ecosistemi marini costieri e sui beni e servizi ad essi correlati. Le variazioni del clima e della temperatura hanno già notevoli impatti sul sistema socio-economico ed ecologico dell'Italia. È necessario, perciò, che siano intraprese serie politiche di mitigazione, il cui effetto, tuttavia, si farà sentire solo nel lungo termine. Per questa ragione è necessario intraprendere parallelamente anche una seria politica di adattamento ai cambiamenti climatici globali. Essa deve prevedere anche un ripristino del funzionamento degli ecosistemi naturali, sia acquatici sia terrestri. In particolare, sistemi quali foreste e praterie sono in grado di rimuovere grandi quantità di gas serra dall'atmosfera contribuendo in maniera attiva ed efficace alla mitigazione del cambiamento climatico globale, alla moderazione degli eventi climatici estremi. È, inoltre, estremamente importante limitare la deforestazione a livello globale: in Italia i soli incendi estivi del 2007 hanno distrutto 113.000 ettari, causando un'emissione di 4,8 milioni di tonnellate di anidride carbonica, che corrispondono a quanto emette in un anno la città di Milano.

lunedì 2 febbraio 2009

Matusalemme

Il più antico seme mai germogliato ha 2000 anni ed è stato soprannominato "Matusalemme" dai suoi scopritori. Faceva parte di un gruppo di semi di palma da dattero che negli anni Sessanta del Novecento era stato rinvenuto durante gli scavi eseguiti a Masada, l'antica fortezza israeliana che sorgeva su un altopiano vicino al Mar Morto, nella Giudea sud-orientale. Il seme, piantato nel gennaio del 2005, aveva iniziato a germogliare dopo otto settimane. A sei mesi la pianticella aveva raggiunto un'altezza di 120 centimetri. Inizialmente l'anzianità del seme era stata stabilita sulla base del contesto archeologico di ritrovamento, ma ora Sarah Sallon della Hadassah Medical Organization e Markus Egli, dell'Università di Zurigo riferiscono, in un articolo pubblicato su "Science", che dall'analisi radioisotopica di altri due semi di quel gruppo e di frammenti del guscio del seme Matusalemme risulta che il seme avrebbe effettivamente 2000 anni, con un intervallo di incertezza di 50 anni. Le analisi genetiche effettuate hanno, inoltre, rivelato che questa antica palma da dattero è profondamente diversa dalle specie moderne. Se la palma si rivelerà essere un esemplare femmina si potrà pensare a un recupero di questa antico tipo di palma.