venerdì 30 gennaio 2009

Batteri e catacombe

All'interno delle catacombe di San Callisto, a Roma, sulle pareti tufacee del "cubicolo Oceano", sono state individuate due nuove specie di batteri appartenenti al genere Kribbella che, in onore del luogo della scoperta, sono state chiamate Kribbella catacumbae e Kribbella sancticallisti. Clara Urzì, autrice della scoperta e docente di Microbiologia nel Dipartimento di Scienze della Vita dell'Università di Messina, ha recentemente pubblicato sulla rivista "International Journal of Systematic and Evolutionary Microbiology" i dettagli della sua ricerca svolta nell'ambito del progetto "Cats" (Cyanobacteria Attack Rocks). Questi batteri, che hanno trovato nelle catacombe condizioni climatiche favorevoli insieme a microrganismi fotosintetici (cianobatteri e alghe), sono particolarmente dannosi perché penetrano all'interno del substrato tufaceo e causano la caduta della parte superficiale di affreschi e decorazioni parietali. Secondo Patrizia Albertano, professore di Botanica all'Università Tor Vergata di Roma, per preservare gli affreschi e diminuire i cianobatteri che creano patine blu-verdi alle pareti, sarebbe necessario utilizzare un'illuminazione monocromatica, simile a quella proiettata nei nightclub.

sabato 24 gennaio 2009

Botanica e zoologia nell'antica Grecia

Teofrasto, scienziato greco allievo di Aristotele (IV-III secolo a.C.), in un'epoca in cui non esistono lenti o microscopi, conduce ricerche accuratissime in particolare sul mondo vegetale. Nelle sue opere descrive dettagliatamente almeno 500 specie diverse di piante, distinguendo radici, fusto, rami, foglie, fiore, frutto; studia le condizioni climatiche loro favorevoli, le possibilità di utilizzo alimentare o industriale, le loro proprietà medicinali, contribuendo così al progresso della scienza medica. Il grande Aristotele si occupa, invece, di zoologia, lasciando uno studio del regno animale che rimarrà insuperato per una ventina di secoli.

mercoledì 14 gennaio 2009

Il Museo Archeologico Nazionale di Cagliari

La storia del Museo Archeologico Nazionale di Cagliari inizia nel 1800, quando Ludovico Baïlle propose al viceré Carlo Felice la creazione di un museo per raccogliere le collezioni archeologiche e per custodire le testimonianze di Storia naturale dell'isola. Il suo progetto venne approvato ed una sala del Palazzo Viceregio fu destinata al Gabinetto di Archeologia e Storia naturale, sotto la direzione di Leonardo De Prunner. Questa prima raccolta, incrementata dalle donazioni di antichità da parte di privati, venne aperta al pubblico nel 1802. Pochi anni dopo, nel 1806, Carlo Felice donò alla raccolta tutte le sue collezioni ed il notevole aumento degli oggetti rese necessario il suo trasferimento in una sala del Museo di Mineralogia. Nel 1806 De Prunner fu sostituito da Ludovico Baïlle, ma ben presto la direzione del museo passò a Gaetano Cara. Questi lo resse sino al 1858 e, per arricchirne le collezioni, fu anche incaricato, a partire dal 1841, di condurre gli scavi nel sito di Tharros. Solo nel 1859 la parte archeologica fu separata da quella di Storia naturale e fu nominato direttore Patrizio Gennari, poi sostituito nuovamente da Cara nel 1862. Anche il canonico Giovanni Spano, fondatore dell'archeologia sarda, donò al museo nel 1859 la sua cospicua collezione. Nel corso degli anni la raccolta continuò ad arricchirsi grazie alle donazioni ed ai materiali provenienti dagli scavi e dalle scoperte casuali di quegli anni. Nel 1875 lo Spano fu nominato Commissario al Museo ed agli Scavi di antichità della Sardegna. A lui successe Filippo Vivanet e durante la sua direzione furono acquisite le ricchissime collezioni Timon, Caput, Cara ed il medagliere Cugia. Nel 1883 lo storico Ettore Pais compilò il primo inventario del Regio Museo. Due anni più tardi la raccolta venne trasferita nel Palazzo Vivanet, in via Roma, dove rimase sino al 1904. Ma, ormai, il museo era cresciuto e meritava una sede propria: venne così realizzato, su progetto di Dionigi Scano, il Museo Archeologico in piazza Indipendenza, reiventando l'edificio che, sino ai primi anni del Novecento, ospitava la zecca e l'armeria. Fu Antonio Taramelli, soprintendente alle Antichità della Sardegna dal 1901 al 1931, a curare la nuova esposizione: il percorso museale si articolava nelle sale dedicate alla Sardegna preromana, alla Sardegna punica, nel salone dove erano raccolti per categorie gli oggetti punici e romani ed infine nelle tre sale a soggetto: il lapidario, la sala romano-cristiana, il medagliere. In quegli anni vi fu un arricchimento straordinario del numero e della qualità dei reperti. Negli anni '30 e '40 del Novecento si alternarono vari direttori: Doro Levi, Paolino Mingazzioni, Salvatore Puglisi, Massimo Pallottino, Raffaello Delogu. Nel 1959 divenne soprintendente Gennaro Pesce, che tenne la Soprintendenza ed il Museo sino 1967, compiendo scavi principalmente a Nora e Tharros. Il successore di Gennaro Pesce, Ferruccio Barreca, ebbe il delicato compito di indagare i siti di Monte Sirai, Antas, Bithia, Sulci. Il museo fu soggetto a vari riordinamenti, con l'esposizione di contesti preistorici individuati dalle ricerche universitarie e degli oggetti rinvenuti nei nuovi scavi. Alla scomparsa di Barreca, nel 1986, successe Vincenzo Santoni, sotto il quale è avvenuto il trasferimento dalla vecchia sede, ormai insufficiente per spazio e servizi, in quella nuova e prestigiosa della Cittadella dei Musei.

L'idea di realizzare un nuovo Museo Archeologico Nazionale nell'attuale Cittadella dei Musei era nata negli anni Cinquanta del Novecento, con l'intento di creare una struttura culturale polivalente, che accogliesse la sede museale, la Pinacoteca Nazionale, il Dipartimento di Scienze Archeologiche e Storico-Artistiche, l'Istituto di Studi Sardi. La struttura, opera degli architetti Piero Gazzola e Libero Cecchini, venne inaugurata nel 1979 ma, a partire dal 1986, si è provveduto ad adeguare la struttura del nuovo museo archeologico alle norme di agibilità e di sicurezza, sino all'inaugurazione avvenuta nel 1993.

Il nuovo Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, il cui allestimento è stato curato dagli archeologi Carlo Tronchetti e Luisanna Usai, si articola su quattro piani: il primo è dedicato ad una presentazione didattico-didascalica della successione delle culture antiche in Sardegna, partendo dal Neolitico sino all'età bizantina, mentre gli altri tre piani sono dedicati all'illustrazione dei diversi settori territoriali, con l'esposizione dei materiali rinvenuti nelle diverse località.

domenica 11 gennaio 2009

Le Sette Meraviglie del mondo antico

Sono sette monumenti dell'antichità che per le dimensioni imponenti e la straordinaria bellezza si sono guadagnati l'appellativo di "meraviglia". Il primo elenco con i nomi di questi capolavori compare in un frammento di papiro di età tolemaica (II secolo a.C.) che riporta elenchi di persone o cose significative. Il testo, noto come "Laterculi Alexandrini", menziona anche le Sette Meraviglie, ma si conservano soltanto tre nomi: le Piramidi, l'Artemision, il Mausoleo di Alicarnasso. Il più antico elenco completo è, invece, contenuto in un epigramma di Antipatro di Sidone, conservato nell'Antologia Palatina, risalente al II secolo a.C. (secondo alcuni studiosi si tratterebbe, invece, di Antipatro di Tessalonica, per cui la datazione scenderebbe di un secolo). Qui sono citati: le mura di Babilonia, lo Zeus di Olimpia, i Giardini Pensili di Babilonia, il Colosso di Rodi, le Piramidi d'Egitto, il Mausoleo di Alicarnasso e l'Artemision di Efeso. In questo elenco compaiono le mura di Babilonia, a lungo inserite nelle liste più antiche, mentre manca il Faro di Alessandria che, realizzato nella prima metà del III secolo a.C., entrerà per ultimo nel novero delle meraviglie antiche e risulta assente nei primi elenchi. Sono numerosi anche gli autori latini che menzionano le Sette Meraviglie, basti pensare a Vitruvio (I secolo a.C.) o Plinio il Vecchio (I secolo d.C.). Una certa variabilità della lista (pur restando pressoché costante il numero di sette) è documentata anche in età romana e tardo antica: sono citati il Palazzo di Ciro a Ecbatana, il Colosseo, il Campidoglio. La mancanza di un canone fisso prosegue fino al Medioevo e oltre, ma l'interesse per le Meraviglie non sembra arrestarsi mai e ancora oggi suscitano l'attenzione di storici, archeologi, letterati e semplici appassionati, anche se molte di esse sono andate perdute.

L'unica ancora intatta è la piramide di Cheope a Giza (Egitto). Servirono dieci anni per costruirla e milioni di blocchi di pietra, trasportati da cave anche lontane. Eretta durante il regno del faraone Cheope (2551-2520 a.C.), è alta 146,6 metri.
I giardini pensili di Babilonia (oggi in Iraq). Fatti costruire da Semiramide, nel IX secolo a.C., erano palazzi sulle cui terrazze crescevano fiori, alberi da frutta e zampillavano fontane. Secondo alcuni elenchi la meraviglia erano le mura di Babilonia, fatte costruire da Nabucodonosor nel VI secolo a.C.. Erano fatte di mattoni d'argilla e il muro orientale era spesso 12 metri. Non ne rimane nulla.
L'Artemision di Efeso (Turchia). Il tempio dedicato alla dea Artemide venne realizzato nel VI secolo a.C.: era largo 50 metri, lungo 109 e le sue colonne erano alte 19 metri. Rimangono le sue rovine.
La statua di Zeus ad Olimpia (Grecia). Scolpita dal greco Fidia, intorno alla metà del V secolo a.C., era fatta d'oro e d'avorio e alta 12 metri. Anch'essa è andata perduta.
La tomba di Mausolo ad Alicarnasso (oggi Bodrum, in Turchia). Mausoleo, re della Caria (prima metà del IV secolo a.C.), si fece costruire come tomba un palazzo d'oro e marmo (da allora il nome mausoleo è entrato nel linguaggio comune col significato, appunto, di monumento funebre), che divenne famoso per le sue decorazioni. Alcuni frammenti di esse si trovano al British Museum di Londra.
Il colosso di Rodi. Era una gigantesca statua di bronzo, alta 32 metri, posta all'ingresso del porto di Rodi (Grecia). Costruita dallo scultore Carete nel 290 a.C., rappresentava il dio Helios (Sole). Non ne resta nulla.
Il faro di Alessandria d'Egitto. Costruito nel III secolo a.C. su uno scoglio vicino all'isola di Faro (da cui il nome passò a tutti gli edifici di questo tipo), doveva sorvegliare il porto di Alessandria. La torre era alta 120-140 metri. Diversi terremoti lo fecero crollare, ma rimangono rovine sottomarine.