giovedì 26 marzo 2009

Il meccanismo di Antikythera

Intorno al 65 a.C. una nave romana affondò, con il suo carico, vicino alla costa nord della piccola isola di Antikythera, tra il Peloponneso e Creta. Il relitto fu trovato, poco prima della Pasqua del 1900 e, fra le statue di marmo e di bronzo, i gioielli e le anfore, venne recuperato anche un grumo di calcare e metallo incrostato. Solo dopo due anni Valerios Stais, direttore del Museo Archeologico di Atene, dove è ancora conservato lo strumento, si rese conto della straordinarietà dell'oggetto: non un blocco di bronzo corroso, ma un meccanismo complesso, dotato di ingranaggi e quadranti, con iscrizioni in greco antico. Il meccanismo di Antikythera è, infatti, uno strumento astronomico che anticipa tecnologie che verranno scoperte solo alla fine del Medioevo, con la costruzione dei primi orologi. Il suo movimento era composto da una trentina di ingranaggi azionati da un'unica manovella. Sulla faccia anteriore, un quadrante di bronzo segnava il movimento tra le costellazioni dello zodiaco, del sole, della luna e probabilmente degli altri pianeti conosciuti all'epoca (Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno). Sul retro, invece, c'erano due quadranti sovrapposti, entrambi con incisa una scala a spirale e un puntatore estensibile. Quello superiore seguiva il ciclo metonico di 19 anni, che è il periodo dopo il quale le fasi lunari si ripresentano negli stessi giorni dell'anno solare; il secondo, invece, indicava il ciclo di Saros di 18 anni, utile per prevedere le eclissi. Sorprendentemente il meccanismo riproduceva anche le variazioni di velocità della luna e dei pianeti lungo le loro orbite. Alcuni studiosi delle Università di Cardiff e di New York hanno recentemente scoperto che i nomi dei mesi incisi sul meccanismo appartengono a un calendario utilizzato solo nella Grecia occidentale e nella colonia di Siracusa. Il collegamento con Siracusa lancia un'intrigante ipotesi: l'ispiratore del meccanismo di Antikythera potrebbe essere stato Archimede, che costruì strumenti astronomici meccanici; l'ispiratore, ma non il costruttore, visto che il meccanismo è datato tra il 150 e il 100 a.C., mentre Archimede morì nel 212 a.C. Gli stessi studiosi hanno anche scoperto sulla faccia posteriore un piccolo quadrante secondario che segnava il calendario delle Olimpiadi, evento importantissimo per la vita sociale dell'epoca, a dimostrazione di come la tecnologia fosse integrata nella cultura dell'antica Grecia.

lunedì 23 marzo 2009

La stele di Rosetta


Il 19 luglio 1799 nella città egiziana di Al-Rashid (chiamata dagli europei Rosetta) durante la campagna in Egitto di Napoleone, un ufficiale francese rinvenne una lapide in granito alta poco più di un metro e larga circa 70 centimetri, che sul lato lucido presentava un'iscrizione in tre scritture diverse. Grazie ad essa, vent'anni più tardi, Jean-Francois Champollion sarebbe riuscito a decodificare i caratteri geroglifici egizi. Il testo inciso sulla stele è diviso in tre parti: la parte superiore, composta da 14 righe, è scritta in caratteri geroglifici; al centro compaiono 32 righe in scrittura corsiva, il demotico, cioè la scrittura egizia dell'ultima fase; nella parte inferiore sono invece tracciate 54 righe in greco, lingua parlata e scritta in Egitto fin dall'epoca ellenistica. Di fronte all'impossibilità di decifrare i geroglifici e il testo in demotico, entrambi forme scritte di una lingua morta (dell'egiziano), gli studiosi francesi si dedicarono all'iscrizione in greco. La traduzione rivelò che si trattava di un decreto promulgato a Menfi il diciottesimo giorno del secondo mese della stagione di Peret (27 marzo 196 a.C.) dai sacerdoti egiziani, ivi riuniti per celebrare il primo anniversario dell'ascesa al trono del faraone Tolomeo V Epifane. Il testo in sé non forniva alcuna informazione storicamente rilevante, ma nella parte finale offriva agli studiosi la traccia di cui avevano bisogno. Infatti, i sacerdoti ordinavano che si realizzassero copie in pietra del testo per i templi più importanti e che fosse inciso sia in lingua egiziana, con la "scrittura delle parole divine" (i geroglifici), sia nella scrittura del popolo (il demotico), sia nella lingua greca. Si trattava perciò di uno stesso testo in tre distinte versioni. Per gli studiosi ciò offriva quindi l'opportunità di decifrare, attraverso il confronto con la versione greca, le due scritture millenarie fino a quel momento incomprensibili.