sabato 14 novembre 2009

Trieste: la sua storia e i suoi monumenti


Trieste si affaccia sull'omonimo golfo, nella parte più settentrionale dell'Alto Adriatico, nell'estremo nord-est italiano. Il territorio cittadino è occupato in prevalenza da un pendio collinare che diventa montagna nelle zone limitrofe all'abitato.

L'antica Tergeste originariamente centro dei Galli Carni, divenne colonia sotto Augusto. Nell'alto Medioevo fu successivamente sotto i Goti, i Bizantini (539), i Longobardi (590, 752-774), i Franchi (787). Organizzatasi a libero Comune (1060), più volte sotto il dominio di Venezia (1202, 1285, 1369), passò nel 1382 agli Asburgo, rimanendo sotto il dominio asburgico fino al 1918, quando fu liberata dalle truppe italiane (3 novembre). In seguito alla seconda guerra mondiale, fu occupata (maggio 1945) dalla Iugoslavia e dalle truppe anglo-americane (giugno 1945). Per risolvere la questione delle frontiere tra Iugoslavia e Italia, fu costituito il Territorio Libero di Trieste (trattato di pace, Parigi 1947), comprendente due zone: zona A (Trieste e Muggia) sotto amministrazione anglo-americana, zona B (Capodistria, Pirano e Buie) sotto amministrazione iugoslava. In seguito a grave tensione tra Iugoslavia e Italia, l'accordo tra i due paesi concluso a Londra nel 1954 (Memorandum d’intesa) stabilì di affidare l’amministrazione delle due zone rispettivamente all’Italia e alla Iugoslavia.

I principali monumenti della città
Il Castello di Miramare. Venne costruito per volontà di Massimiliano d'Asburgo, fratello minore dell'imperatore d'Austria Francesco Giuseppe. È circondato da un ampio parco, dove furono trapiantate le più importanti specie di piante provenienti dai quattro continenti.

Il Colle di San Giusto. Su questo colle che domina la città, si possono visitare i resti dell'antico Foro romano, il Castello di San Giusto, la Cattedrale di San Giusto, che custodisce le spoglie del Patrono di Trieste (S. Giusto) e l'alabarda di San Sergio, simbolo della città.

Il Teatro romano. Si trova ai piedi del colle di San Giusto e risale al I-II secolo d.C. Poteva ospitare circa 6.000 spettatori e fu, probabilmente, costruito per volontà di Quinto Petronio Modesto, procuratore dell’imperatore Traiano. Nei secoli venne poi nascosto dalle case che vi sorsero sopra e fu riportato alla luce solo nel 1938.

Piazza dell'Unità d'Italia. La piazza, affacciata sul mare, è circondata da splendidi palazzi in stile neoclassico: il Comune di Trieste, il palazzo del Governo, il palazzo Lloyd.

Le Chiese di Trieste. Crocevia di culture provenienti dai vari Paesi dell'est e del nord Europa Trieste ospita Chiese di diversi culti religiosi, quali la chiesa serbo ortodossa di San Spiridione, la Chiesa greco ortodossa di San Nicolò, la Chiesa evangelica di Largo Panfili, il Tempio israelitico.

Il Faro della vittoria. Il faro venne costruito in onore dei caduti sul mare. Grazie alla sua portata luminosa è uno dei fari più potenti dell'adriatico.

La Risiera di San Sabba. Durante l'occupazione nazista la risiera di San Sabba fu trasformata in un campo di sterminio, l'unico in territorio italiano. Qui, nei forni crematori trovarono la morte migliaia di persone. Della struttura rimangono due edifici e le celle dove venivano internati i prigionieri. Una galleria fotografica testimonia l'orrore di quei terribili anni.

mercoledì 22 luglio 2009

L'Arciere sulcitano

Il Cleveland Museum of Art (Ohio) ha restituito all'Italia 14 reperti, trafugati dai tombaroli ed usciti illegalmente dal nostro paese, grazie a un'operazione voluta e realizzata da Carabinieri, Avvocatura dello Stato, Ministero dei Beni culturali, Magistratura, e resa possibile, ovviamente, dalla disponibilità del museo statunitense. Fra questi spicca un bronzetto di età nuragica, databile al IX-VIII secolo a.C., che raffigura un arciere con l'arco in spalla. Il reperto fu probabilmente trovato da qualche tombarolo presso il complesso nuragico di Grutt'e Acqua, nell'isola di Sant'Antioco, dove presto ritornerà per essere definitivamente esposto nel Museo Archeologico Comunale "Ferruccio Barreca". Subito ribattezzato "Arciere sulcitano", si distingue per la sua eccezionale fattura e per le sue ragguardevoli dimensioni, ben ventidue centimetri di altezza contro i dieci-quindici della media degli altri bronzetti. Esso raffigura un un soldato dotato di elmo sormontato da grandi corna di bue, con una arco nella mano sinistra e la destra alzata in segno di benedizione.

I cosiddetti "bronzetti" nuragici sono stati rinvenuti principalmente all'interno o in prossimità degli antichi luoghi di culto dell'epoca, quali soprattutto i ben noti "templi a pozzo". I bronzetti, che raffiguravano divinità o personaggi offerenti oppure oggetti legati al prestigio o alla vita quotidiana, erano offerti al tempio probabilmente sia per impetrare una grazia sia come ex-voto. Il numero dei bronzetti noti non raggiunge i 700 esemplari, anche se il numero di quelli falsi è considerevole e trova ospitalità anche presso prestigiosi musei europei e ricche collezioni private.

Il tesoro di Misurata torna a risplendere

Il più grande tesoro monetale romano, ritrovato nel 1981 a Misurata, in Libia, è fruibile in tutto il suo splendore grazie al lavoro dell'Istituto per le tecnologie applicate ai beni culturali (Itabc) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), che ha coordinato il restauro, lo studio storico, l'analisi composizionale e la digitalizzazione di questo patrimonio. Il tesoro, composto da 108 mila monete, fu rinvenuto casualmente durante l'esecuzione di lavori agricoli, dentro grossi vasi (olle, brocche, anfore), sotterrati in prossimità di due edifici, facenti parte forse di un luogo di cambio dei cavalli del cursus publicus - il servizio per il trasporto di merci o plichi appartenenti allo Stato - e di persone che viaggiavano per conto dell'amministrazione centrale. Databili tra il 294 e il 333 d.C., queste monete sono nummi (folles), ossia prodotti con una lega rame-stagno-piombo comprendente una piccola quantità di argento, caratterizzati da un arricchimento superficiale sottilissimo con il medesimo metallo. Anche se non è da escludere che il tesoro dovesse essere costituito da un numero maggiore di esemplari, si tratta più grande ritrovamento non solo di epoca romana, ma, probabilmente, di tutto il mondo antico. Oltre che per le dimensioni il rinvenimento si distingue perchè che getta nuova luce sia sulla storia dell'economia e della circolazione monetaria in Tripolitania nella prima metà del IV secolo d.C., sia sulla metallurgia e la tecnologia della produzione monetale di quel periodo.
Ma a chi apparteneva questo patrimonio? Si possono avanzare due ipotesi: il tesoro potrebbe essere il contenuto di una cassa destinata a erogare pagamenti oppure al ritiro di monete messe "fuori corso" anche al fine di recuperarne, mediante rifusione, il contenuto in argento.

Le monete, a partire dal 2007, sono state oggetto di un'accurata serie di analisi fisiche non distruttive, volte a definire la percentuale del contenuto in argento nella lega e a precisare, in associazione con altri metodi di indagine, la tecnologia di fabbricazione, elementi che aiutano a ricostruire l'inflazione e le periodiche crisi economiche e monetarie che travagliarono in quei decenni l'impero romano. Le misure si basano sull'utilizzo di sorgenti radioattive messe a disposizione dai laboratori del Cnr e dell'Istituto nazionale di fisica nucleare.

martedì 14 luglio 2009

Un'antica icona di San Paolo nelle catacombe di Santa Tecla a Roma

A Roma nelle catacombe di Santa Tecla, sulla via Ostiense, è stata scoperta una icona raffigurante San Paolo, risalente al IV secolo d.C. I restauratori che lavorano da oltre un anno al restauro delle catacombe, nel ripulire con il laser la patina calcarea che ricopre la volta dell'ipogeo, hanno messo in luce il volto di San Paolo: l'ovale magro, gli occhi grandi e profondi, la calvizie incipiente, la fronte ampia solcata da rughe di riflessione, la barba lunga a punta, insomma l'Apostolo raffigurato con i tratti tipici del pensatore e in particolare di Plotino, filosofo di riferimento della tarda antichità.

Quando fu affrescato, alla fine del IV secolo, Agostino non aveva ancora scritto Le Confessioni, quell'immagine di San Paolo riservata al culto è la più antica icona dell'apostolo finora conosciuta. La scoperta risale al il 19 giugno 2009 e rappresenta un evento straordinario che suggella in modo inatteso e sorprendente la conclusione dell'anno giubilare dedicato a San Paolo.

Le catacombe di Santa Tecla, lungo la via Ostiense, poco distanti dalla Basilica di San Paolo fuori le mura, sono note dal Settecento. Ė una catacomba comunitaria, vi si trovano i resti di centinaia di cristiani che vollero farsi seppellire vicino a Santa Tecla, una martire romana che non va confusa con la santa omonima amica di San Paolo, protagonista dell'antico apocrifo Acta Pauli et Theclae. Sulla volta c'è il viso di San Paolo, circondato un cerchio (clipeo) giallo oro su rosso vivo e, accanto, un altro ritratto di San Pietro, la «roccia», raffigurato quindi con il volto più forte e rude del pescatore. Una sepoltura raffinata, che potrebbe essere ispirata alla basilica dei tre imperatori, dedicata a San Paolo e voluta da Costantino, che nel IV secolo fu costruita poco lontano e andò distrutta nell'Ottocento. Nel cubicolo sono stati scoperti altri due apostoli, forse Giovanni e Giacomo, e ancora un Daniele tra i leoni e il sacrificio di Isacco.

venerdì 5 giugno 2009

Storia dell'albergo Scala di Ferro, viale Regina Margherita - Cagliari

Il complesso edilizio noto come "Scala di Ferro" fu costruito sopra il cinquecentesco bastione di Nostra Signora di Monserrato (chiamato anche bastione "dei morti" o di San Giacomo), sulle antiche mura che proteggevano la zona portuale. Il bastione fu utilizzato dal 1850 dalla Guardia Nazionale come piazza d'armi per poi ospitare, nel 1859, lo Stabilimento Balneare Cerruti, progettato e costruito dall'ingegnere Antonio Cerruti, per dotare la città di bagni pubblici. Le due torri merlate, in stile neogotico, risalgono al 1869, anno dell'inaugurazione, mentre l'avancorpo centrale interno, che si affacciava su un giardino alberato, venne costruito sul finire dello stesso secolo. L'albergo, per mano del ristoratore Luigi Caldanzano, aprì i battenti nell'ottobre del 1877 ma finì all'asta sedici anni più tardi. Successivamente l'ingegner Fulgenzio Setti lo acquistò e introdusse le acque termali nello stabilimento balneare, ripristinò le piscine e restaurò le strutture alberghiere che, nelle stampe pubblicitarie dei primi del Novecento, mutarono il nome in "Castello Setti". Nel 1921 l'albergo ospitò il celebre scrittore D.H. Lawrence durante il suo soggiorno a Cagliari. Nel 1961 la Compagnia Italiana "Jolly Hotels" acquistò il complesso e dopo averlo restaurato, lo chiuse qualche anno più tardi. Dopo anni di abbandono, sulla base del progetto presentato dalla attuale società proprietaria, nell'agosto 2000, in accordo con il Comune di Cagliari, sono iniziati i lavori per la realizzazione della nuova sede della Prefettura con residenza annessa e sottostanti parcheggi.

Durante i lavori di rifacimento del complesso della Scala di Ferro è stato possibile mettere in luce una porzione della necropoli di età romana, già nota da precedenti ritrovamenti e scavi archeologici. Sotto il riempimento cinquecentesco sono emerse diverse tipologie sepolcrali attribuibili a fasi cronologiche distinte. L'area, nel tratto nord-occidentale, ha restituito sepolture a cremazione (in fosse o urne) e ad inumazione, con corredi databili dalla metà del III secolo a.C. al I secolo d.C. Più ad est è stata individuata una piccola area sepolcrale monumentale inviolata, con quattro inumazioni in sarcofago, quattro incinerazioni in cinerari sormontati da cippi ed una mensa in pietrame e calce. I cippi ed i cinerari, in calcare bianco locale, sono ascrivibili ad un arco cronologico compreso tra la fine del I secolo e la prima metà del II secolo d.C., mentre la mensa e i sarcofagi sono stati deposti in epoca successiva. La vita di quest'area dovette continuare ancora dopo la sistemazione dei sarcofagi, nei quali si notano tracce di manomissioni da porre in relazione con successive aperture per nuove deposizioni. Presso l'estremità settentrionale dell'area è venuto alla luce un sepolcro monumentale di pianta quadrangolare costruito con blocchi calcarei squadrati. Il monumento, violato già in antico, presentava all'interno, sei nicchie contenenti urne cinerarie.

lunedì 27 aprile 2009

Le più antiche orme di un piede moderno

Gli antenati dell'uomo hanno iniziato a camminare con un piede anatomicamente moderno circa 1,5 milioni di anni fa. Lo dimostra un gruppo di impronte lasciate da individui Homo ergaster, il primo degli ominini dotato delle stesse proporzioni corporee di Homo sapiens. La scoperta è stata fatta da alcuni ricercatori della Rutgers State University of New Jersey e della Bournemouth University, in Gran Bretagna, pubblicato dalla rivista "Science". Le orme sono state scoperte in due strati sedimentari risalenti, appunto, a 1,5 milioni di anni fa in prossimità della località di Ileret nel nord del Kenya e recano traccia della forma e della struttura dei tessuti molli, dati che non è possibile ricavare dai resti fossilizzati delle ossa. Lo strato sedimentario superiore conteneva tre serie di tracce: due di due orme ciascuna, e una di sette impronte, più alcune altre impronte sparse. Un secondo strato sedimentario, cinque metri più profondo, conservava una serie di due impronte più un'impronta isolata, probabilmente dovuta a un ragazzo. In questi campioni, l'alluce appare parallelo alle altre dita del piede, inoltre l'impronta mostra un arco plantare molto pronunciato, simile a quello dell'uomo moderno, e dita corte, adatte a una stazione eretta con andatura bipede usuale. Dimensioni, spaziatura e profondità delle impronte hanno permesso di avanzare ipotesi sull'andatura, il peso e l'altezza del soggetto, tutti risultati confrontabili con quelli dell'uomo moderno. Le impronte dell'adulto indicano in particolare una persona di un'altezza di 1,75 metri. Diverse altre impronte fossili di ominidi sono state scoperte nei decenni scorsi, le più famose delle quali sono quelle trovate nel 1978 da Mary Leakey a Laetoli, in Tanzania, che risalgono a ben 3,6 milioni di anni fa. Queste, attribuite a un possibile più antico antenato dell'uomo, Australopithecus afarensis, indicavano una postura eretta e un andatura bipede, ma l'arco plantare era molto meno accentuato e gli alluci erano divergenti.

giovedì 26 marzo 2009

Il meccanismo di Antikythera

Intorno al 65 a.C. una nave romana affondò, con il suo carico, vicino alla costa nord della piccola isola di Antikythera, tra il Peloponneso e Creta. Il relitto fu trovato, poco prima della Pasqua del 1900 e, fra le statue di marmo e di bronzo, i gioielli e le anfore, venne recuperato anche un grumo di calcare e metallo incrostato. Solo dopo due anni Valerios Stais, direttore del Museo Archeologico di Atene, dove è ancora conservato lo strumento, si rese conto della straordinarietà dell'oggetto: non un blocco di bronzo corroso, ma un meccanismo complesso, dotato di ingranaggi e quadranti, con iscrizioni in greco antico. Il meccanismo di Antikythera è, infatti, uno strumento astronomico che anticipa tecnologie che verranno scoperte solo alla fine del Medioevo, con la costruzione dei primi orologi. Il suo movimento era composto da una trentina di ingranaggi azionati da un'unica manovella. Sulla faccia anteriore, un quadrante di bronzo segnava il movimento tra le costellazioni dello zodiaco, del sole, della luna e probabilmente degli altri pianeti conosciuti all'epoca (Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno). Sul retro, invece, c'erano due quadranti sovrapposti, entrambi con incisa una scala a spirale e un puntatore estensibile. Quello superiore seguiva il ciclo metonico di 19 anni, che è il periodo dopo il quale le fasi lunari si ripresentano negli stessi giorni dell'anno solare; il secondo, invece, indicava il ciclo di Saros di 18 anni, utile per prevedere le eclissi. Sorprendentemente il meccanismo riproduceva anche le variazioni di velocità della luna e dei pianeti lungo le loro orbite. Alcuni studiosi delle Università di Cardiff e di New York hanno recentemente scoperto che i nomi dei mesi incisi sul meccanismo appartengono a un calendario utilizzato solo nella Grecia occidentale e nella colonia di Siracusa. Il collegamento con Siracusa lancia un'intrigante ipotesi: l'ispiratore del meccanismo di Antikythera potrebbe essere stato Archimede, che costruì strumenti astronomici meccanici; l'ispiratore, ma non il costruttore, visto che il meccanismo è datato tra il 150 e il 100 a.C., mentre Archimede morì nel 212 a.C. Gli stessi studiosi hanno anche scoperto sulla faccia posteriore un piccolo quadrante secondario che segnava il calendario delle Olimpiadi, evento importantissimo per la vita sociale dell'epoca, a dimostrazione di come la tecnologia fosse integrata nella cultura dell'antica Grecia.

lunedì 23 marzo 2009

La stele di Rosetta


Il 19 luglio 1799 nella città egiziana di Al-Rashid (chiamata dagli europei Rosetta) durante la campagna in Egitto di Napoleone, un ufficiale francese rinvenne una lapide in granito alta poco più di un metro e larga circa 70 centimetri, che sul lato lucido presentava un'iscrizione in tre scritture diverse. Grazie ad essa, vent'anni più tardi, Jean-Francois Champollion sarebbe riuscito a decodificare i caratteri geroglifici egizi. Il testo inciso sulla stele è diviso in tre parti: la parte superiore, composta da 14 righe, è scritta in caratteri geroglifici; al centro compaiono 32 righe in scrittura corsiva, il demotico, cioè la scrittura egizia dell'ultima fase; nella parte inferiore sono invece tracciate 54 righe in greco, lingua parlata e scritta in Egitto fin dall'epoca ellenistica. Di fronte all'impossibilità di decifrare i geroglifici e il testo in demotico, entrambi forme scritte di una lingua morta (dell'egiziano), gli studiosi francesi si dedicarono all'iscrizione in greco. La traduzione rivelò che si trattava di un decreto promulgato a Menfi il diciottesimo giorno del secondo mese della stagione di Peret (27 marzo 196 a.C.) dai sacerdoti egiziani, ivi riuniti per celebrare il primo anniversario dell'ascesa al trono del faraone Tolomeo V Epifane. Il testo in sé non forniva alcuna informazione storicamente rilevante, ma nella parte finale offriva agli studiosi la traccia di cui avevano bisogno. Infatti, i sacerdoti ordinavano che si realizzassero copie in pietra del testo per i templi più importanti e che fosse inciso sia in lingua egiziana, con la "scrittura delle parole divine" (i geroglifici), sia nella scrittura del popolo (il demotico), sia nella lingua greca. Si trattava perciò di uno stesso testo in tre distinte versioni. Per gli studiosi ciò offriva quindi l'opportunità di decifrare, attraverso il confronto con la versione greca, le due scritture millenarie fino a quel momento incomprensibili.

mercoledì 25 febbraio 2009

Scienziati e comunicazione

Gli scienziati comunicano per trasferire i risultati delle proprie ricerche al mondo produttivo e per dialogare con gli studenti. Di rado coinvolgono direttamente il pubblico e solo su argomenti di notevole attenzione sociale, come ambiente e salute. È quanto attesta un'indagine realizzata da Alba L'Astorina dell'Istituto per il Rilevamento Elettromagnetico dell'Ambiente (Irea-Cnr), i cui risultati sono stati presentati il 27 gennaio 2009 nel corso della giornata "Ricercare e comunicare: teorie e buone pratiche negli enti di ricerca", che si è svolta nell'Area di ricerca Milano1 del Cnr.

A fare da "osservatorio" sono stati gli stessi istituti del Cnr, ai quali tra il 2007 e il 2008 sono state poste domande relative ai modi ed agli obiettivi delle loro attività di comunicazione. Ha risposto il 60,5% degli istituti. La maggior parte della comunicazione attivata (il 57%) è finalizzata alla diffusione dei risultati e alla divulgazione dei contenuti delle attività scientifiche, il 21% a stabilire contatti con il mondo produttivo tramite il trasferimento tecnologico, il 15% è diretta alla scuola. In minima parte (5%) la comunicazione è invece mirata alla partecipazione diretta del "pubblico", limitatamente ai settori di maggiore attenzione sociale (ambiente e salute). La maggior parte dei ricercatori intervistati ritiene la comunicazione "necessaria" (oltre il 25%); molti la ritengono "utile" (20% circa) o "doverosa", qualcuno ritiene sia "interessante". Pochissimi la considerano "facoltativa" e nessuno "una perdita di tempo". I primi soggetti con cui gli scienziati ritengono sia utile comunicare sono il mondo produttivo e gli amministratori, entrambi indicati da circa un terzo del campione, seguiti da insegnanti, studenti e mass media. I politici sono i referenti con i quali risulta più difficile stabilire un dialogo; mentre i ricercatori si sentono maggiormente compresi dal pubblico "generico" (con cui è più "facile" parlare).

Un'altra indagine dello stesso gruppo di ricerca dell'Irea-Cnr si concentra invece sulla definizione di comunicazione della scienza data da coloro che, negli istituti di ricerca, se ne occupano o vorrebbero farlo. I fattori considerati più importanti sono: comunicare soluzioni scientifiche e tecnologiche di rilevanza nella vita di tutti i giorni (49%), trasferire conoscenze attendibili (47%) e aprire un dialogo con le diverse parti sociali (36%). I dati indicano anche gli ostacoli incontrati nella comunicazione: il 48% dei ricercatori trova difficile esprimersi in modo chiaro e semplice, mentre il 44% accusa gli operatori dei media di imprecisione; meno sentita la percezione che il pubblico dei cittadini non sia preparato a recepire i temi scientifici (31%). Questo conferma che per i ricercatori è più facile comunicare con il cittadino "medio" che con i professionisti dell'informazione.

mercoledì 11 febbraio 2009

Il problema dei cambiamenti climatici globali

Il clima terrestre si sta modificando non solo per cause naturali, ma soprattutto per cause antropiche. È questa la conclusione del rapporto 2007 dell'IPCC (Intergovernamental Panel for Climate Change), dal quale si apprende come l'incremento globale della concentrazione di biossido di carbonio sia principalmente dovuto all'uso di combustibili fossili e ai cambiamenti nell'utilizzo dei suoli, mentre gli incrementi di metano e ossido di azoto derivano, soprattutto, dall'agricoltura e dalla zootecnia. La temperatura superficiale media del globo è aumentata nell'ultimo secolo (1906-2005) di 0,74 °C. A partire dal 1950, ogni dieci anni, la temperatura ha avuto un incremento medio di 0,13°C, assumendo un trend lineare. Undici dei dodici anni passati si classificano tra i più caldi a partire dal 1850, cioè da quando esistono misure strumentali attendibili della temperatura terrestre. L'Europa ha avuto nell'ultimo secolo un innalzamento della temperatura di 0,94°C, quindi superiore a quello globale. I dati italiani sono in linea con quelli dell'intera Europa: è stato stimato circa un grado di innalzamento per le temperature del nostro paese sempre relativamente agli ultimi cento anni. Quindi il trend su 100 anni della temperatura atmosferica media in Italia risulta essere più alto del trend su 100 anni della temperatura atmosferica media globale.

Le previsioni relative alle future emissioni di gas serra e le proiezioni dei modelli climatici fanno presumere, per la fine di questo secolo, un riscaldamento compreso tra 1,8 e 4°C rispetto al periodo 1980-1999. È, dunque, probabile un ulteriore aumento della temperatura e dei fenomeni legati ai cambiamenti climatici, quali la variazione del regime delle precipitazioni con un aumento delle intensità di pioggia; l'aumento di fenomeni quali piene in autunno o inverno, la siccità in primavera ed estate, le ondate di calore, gli incendi. Altri cambiamenti riguardano le temperature superficiali dei nostri mari sia costieri sia profondi, che potrebbero portare ad un'alterazione del regime delle correnti e degli equilibri che regolano la produzione di risorse biologiche ed il ciclo dell'acqua. In particolare si prevede che tali modificazioni avranno un forte impatto sugli ecosistemi marini costieri e sui beni e servizi ad essi correlati. Le variazioni del clima e della temperatura hanno già notevoli impatti sul sistema socio-economico ed ecologico dell'Italia. È necessario, perciò, che siano intraprese serie politiche di mitigazione, il cui effetto, tuttavia, si farà sentire solo nel lungo termine. Per questa ragione è necessario intraprendere parallelamente anche una seria politica di adattamento ai cambiamenti climatici globali. Essa deve prevedere anche un ripristino del funzionamento degli ecosistemi naturali, sia acquatici sia terrestri. In particolare, sistemi quali foreste e praterie sono in grado di rimuovere grandi quantità di gas serra dall'atmosfera contribuendo in maniera attiva ed efficace alla mitigazione del cambiamento climatico globale, alla moderazione degli eventi climatici estremi. È, inoltre, estremamente importante limitare la deforestazione a livello globale: in Italia i soli incendi estivi del 2007 hanno distrutto 113.000 ettari, causando un'emissione di 4,8 milioni di tonnellate di anidride carbonica, che corrispondono a quanto emette in un anno la città di Milano.

lunedì 2 febbraio 2009

Matusalemme

Il più antico seme mai germogliato ha 2000 anni ed è stato soprannominato "Matusalemme" dai suoi scopritori. Faceva parte di un gruppo di semi di palma da dattero che negli anni Sessanta del Novecento era stato rinvenuto durante gli scavi eseguiti a Masada, l'antica fortezza israeliana che sorgeva su un altopiano vicino al Mar Morto, nella Giudea sud-orientale. Il seme, piantato nel gennaio del 2005, aveva iniziato a germogliare dopo otto settimane. A sei mesi la pianticella aveva raggiunto un'altezza di 120 centimetri. Inizialmente l'anzianità del seme era stata stabilita sulla base del contesto archeologico di ritrovamento, ma ora Sarah Sallon della Hadassah Medical Organization e Markus Egli, dell'Università di Zurigo riferiscono, in un articolo pubblicato su "Science", che dall'analisi radioisotopica di altri due semi di quel gruppo e di frammenti del guscio del seme Matusalemme risulta che il seme avrebbe effettivamente 2000 anni, con un intervallo di incertezza di 50 anni. Le analisi genetiche effettuate hanno, inoltre, rivelato che questa antica palma da dattero è profondamente diversa dalle specie moderne. Se la palma si rivelerà essere un esemplare femmina si potrà pensare a un recupero di questa antico tipo di palma.

venerdì 30 gennaio 2009

Batteri e catacombe

All'interno delle catacombe di San Callisto, a Roma, sulle pareti tufacee del "cubicolo Oceano", sono state individuate due nuove specie di batteri appartenenti al genere Kribbella che, in onore del luogo della scoperta, sono state chiamate Kribbella catacumbae e Kribbella sancticallisti. Clara Urzì, autrice della scoperta e docente di Microbiologia nel Dipartimento di Scienze della Vita dell'Università di Messina, ha recentemente pubblicato sulla rivista "International Journal of Systematic and Evolutionary Microbiology" i dettagli della sua ricerca svolta nell'ambito del progetto "Cats" (Cyanobacteria Attack Rocks). Questi batteri, che hanno trovato nelle catacombe condizioni climatiche favorevoli insieme a microrganismi fotosintetici (cianobatteri e alghe), sono particolarmente dannosi perché penetrano all'interno del substrato tufaceo e causano la caduta della parte superficiale di affreschi e decorazioni parietali. Secondo Patrizia Albertano, professore di Botanica all'Università Tor Vergata di Roma, per preservare gli affreschi e diminuire i cianobatteri che creano patine blu-verdi alle pareti, sarebbe necessario utilizzare un'illuminazione monocromatica, simile a quella proiettata nei nightclub.

sabato 24 gennaio 2009

Botanica e zoologia nell'antica Grecia

Teofrasto, scienziato greco allievo di Aristotele (IV-III secolo a.C.), in un'epoca in cui non esistono lenti o microscopi, conduce ricerche accuratissime in particolare sul mondo vegetale. Nelle sue opere descrive dettagliatamente almeno 500 specie diverse di piante, distinguendo radici, fusto, rami, foglie, fiore, frutto; studia le condizioni climatiche loro favorevoli, le possibilità di utilizzo alimentare o industriale, le loro proprietà medicinali, contribuendo così al progresso della scienza medica. Il grande Aristotele si occupa, invece, di zoologia, lasciando uno studio del regno animale che rimarrà insuperato per una ventina di secoli.

mercoledì 14 gennaio 2009

Il Museo Archeologico Nazionale di Cagliari

La storia del Museo Archeologico Nazionale di Cagliari inizia nel 1800, quando Ludovico Baïlle propose al viceré Carlo Felice la creazione di un museo per raccogliere le collezioni archeologiche e per custodire le testimonianze di Storia naturale dell'isola. Il suo progetto venne approvato ed una sala del Palazzo Viceregio fu destinata al Gabinetto di Archeologia e Storia naturale, sotto la direzione di Leonardo De Prunner. Questa prima raccolta, incrementata dalle donazioni di antichità da parte di privati, venne aperta al pubblico nel 1802. Pochi anni dopo, nel 1806, Carlo Felice donò alla raccolta tutte le sue collezioni ed il notevole aumento degli oggetti rese necessario il suo trasferimento in una sala del Museo di Mineralogia. Nel 1806 De Prunner fu sostituito da Ludovico Baïlle, ma ben presto la direzione del museo passò a Gaetano Cara. Questi lo resse sino al 1858 e, per arricchirne le collezioni, fu anche incaricato, a partire dal 1841, di condurre gli scavi nel sito di Tharros. Solo nel 1859 la parte archeologica fu separata da quella di Storia naturale e fu nominato direttore Patrizio Gennari, poi sostituito nuovamente da Cara nel 1862. Anche il canonico Giovanni Spano, fondatore dell'archeologia sarda, donò al museo nel 1859 la sua cospicua collezione. Nel corso degli anni la raccolta continuò ad arricchirsi grazie alle donazioni ed ai materiali provenienti dagli scavi e dalle scoperte casuali di quegli anni. Nel 1875 lo Spano fu nominato Commissario al Museo ed agli Scavi di antichità della Sardegna. A lui successe Filippo Vivanet e durante la sua direzione furono acquisite le ricchissime collezioni Timon, Caput, Cara ed il medagliere Cugia. Nel 1883 lo storico Ettore Pais compilò il primo inventario del Regio Museo. Due anni più tardi la raccolta venne trasferita nel Palazzo Vivanet, in via Roma, dove rimase sino al 1904. Ma, ormai, il museo era cresciuto e meritava una sede propria: venne così realizzato, su progetto di Dionigi Scano, il Museo Archeologico in piazza Indipendenza, reiventando l'edificio che, sino ai primi anni del Novecento, ospitava la zecca e l'armeria. Fu Antonio Taramelli, soprintendente alle Antichità della Sardegna dal 1901 al 1931, a curare la nuova esposizione: il percorso museale si articolava nelle sale dedicate alla Sardegna preromana, alla Sardegna punica, nel salone dove erano raccolti per categorie gli oggetti punici e romani ed infine nelle tre sale a soggetto: il lapidario, la sala romano-cristiana, il medagliere. In quegli anni vi fu un arricchimento straordinario del numero e della qualità dei reperti. Negli anni '30 e '40 del Novecento si alternarono vari direttori: Doro Levi, Paolino Mingazzioni, Salvatore Puglisi, Massimo Pallottino, Raffaello Delogu. Nel 1959 divenne soprintendente Gennaro Pesce, che tenne la Soprintendenza ed il Museo sino 1967, compiendo scavi principalmente a Nora e Tharros. Il successore di Gennaro Pesce, Ferruccio Barreca, ebbe il delicato compito di indagare i siti di Monte Sirai, Antas, Bithia, Sulci. Il museo fu soggetto a vari riordinamenti, con l'esposizione di contesti preistorici individuati dalle ricerche universitarie e degli oggetti rinvenuti nei nuovi scavi. Alla scomparsa di Barreca, nel 1986, successe Vincenzo Santoni, sotto il quale è avvenuto il trasferimento dalla vecchia sede, ormai insufficiente per spazio e servizi, in quella nuova e prestigiosa della Cittadella dei Musei.

L'idea di realizzare un nuovo Museo Archeologico Nazionale nell'attuale Cittadella dei Musei era nata negli anni Cinquanta del Novecento, con l'intento di creare una struttura culturale polivalente, che accogliesse la sede museale, la Pinacoteca Nazionale, il Dipartimento di Scienze Archeologiche e Storico-Artistiche, l'Istituto di Studi Sardi. La struttura, opera degli architetti Piero Gazzola e Libero Cecchini, venne inaugurata nel 1979 ma, a partire dal 1986, si è provveduto ad adeguare la struttura del nuovo museo archeologico alle norme di agibilità e di sicurezza, sino all'inaugurazione avvenuta nel 1993.

Il nuovo Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, il cui allestimento è stato curato dagli archeologi Carlo Tronchetti e Luisanna Usai, si articola su quattro piani: il primo è dedicato ad una presentazione didattico-didascalica della successione delle culture antiche in Sardegna, partendo dal Neolitico sino all'età bizantina, mentre gli altri tre piani sono dedicati all'illustrazione dei diversi settori territoriali, con l'esposizione dei materiali rinvenuti nelle diverse località.

domenica 11 gennaio 2009

Le Sette Meraviglie del mondo antico

Sono sette monumenti dell'antichità che per le dimensioni imponenti e la straordinaria bellezza si sono guadagnati l'appellativo di "meraviglia". Il primo elenco con i nomi di questi capolavori compare in un frammento di papiro di età tolemaica (II secolo a.C.) che riporta elenchi di persone o cose significative. Il testo, noto come "Laterculi Alexandrini", menziona anche le Sette Meraviglie, ma si conservano soltanto tre nomi: le Piramidi, l'Artemision, il Mausoleo di Alicarnasso. Il più antico elenco completo è, invece, contenuto in un epigramma di Antipatro di Sidone, conservato nell'Antologia Palatina, risalente al II secolo a.C. (secondo alcuni studiosi si tratterebbe, invece, di Antipatro di Tessalonica, per cui la datazione scenderebbe di un secolo). Qui sono citati: le mura di Babilonia, lo Zeus di Olimpia, i Giardini Pensili di Babilonia, il Colosso di Rodi, le Piramidi d'Egitto, il Mausoleo di Alicarnasso e l'Artemision di Efeso. In questo elenco compaiono le mura di Babilonia, a lungo inserite nelle liste più antiche, mentre manca il Faro di Alessandria che, realizzato nella prima metà del III secolo a.C., entrerà per ultimo nel novero delle meraviglie antiche e risulta assente nei primi elenchi. Sono numerosi anche gli autori latini che menzionano le Sette Meraviglie, basti pensare a Vitruvio (I secolo a.C.) o Plinio il Vecchio (I secolo d.C.). Una certa variabilità della lista (pur restando pressoché costante il numero di sette) è documentata anche in età romana e tardo antica: sono citati il Palazzo di Ciro a Ecbatana, il Colosseo, il Campidoglio. La mancanza di un canone fisso prosegue fino al Medioevo e oltre, ma l'interesse per le Meraviglie non sembra arrestarsi mai e ancora oggi suscitano l'attenzione di storici, archeologi, letterati e semplici appassionati, anche se molte di esse sono andate perdute.

L'unica ancora intatta è la piramide di Cheope a Giza (Egitto). Servirono dieci anni per costruirla e milioni di blocchi di pietra, trasportati da cave anche lontane. Eretta durante il regno del faraone Cheope (2551-2520 a.C.), è alta 146,6 metri.
I giardini pensili di Babilonia (oggi in Iraq). Fatti costruire da Semiramide, nel IX secolo a.C., erano palazzi sulle cui terrazze crescevano fiori, alberi da frutta e zampillavano fontane. Secondo alcuni elenchi la meraviglia erano le mura di Babilonia, fatte costruire da Nabucodonosor nel VI secolo a.C.. Erano fatte di mattoni d'argilla e il muro orientale era spesso 12 metri. Non ne rimane nulla.
L'Artemision di Efeso (Turchia). Il tempio dedicato alla dea Artemide venne realizzato nel VI secolo a.C.: era largo 50 metri, lungo 109 e le sue colonne erano alte 19 metri. Rimangono le sue rovine.
La statua di Zeus ad Olimpia (Grecia). Scolpita dal greco Fidia, intorno alla metà del V secolo a.C., era fatta d'oro e d'avorio e alta 12 metri. Anch'essa è andata perduta.
La tomba di Mausolo ad Alicarnasso (oggi Bodrum, in Turchia). Mausoleo, re della Caria (prima metà del IV secolo a.C.), si fece costruire come tomba un palazzo d'oro e marmo (da allora il nome mausoleo è entrato nel linguaggio comune col significato, appunto, di monumento funebre), che divenne famoso per le sue decorazioni. Alcuni frammenti di esse si trovano al British Museum di Londra.
Il colosso di Rodi. Era una gigantesca statua di bronzo, alta 32 metri, posta all'ingresso del porto di Rodi (Grecia). Costruita dallo scultore Carete nel 290 a.C., rappresentava il dio Helios (Sole). Non ne resta nulla.
Il faro di Alessandria d'Egitto. Costruito nel III secolo a.C. su uno scoglio vicino all'isola di Faro (da cui il nome passò a tutti gli edifici di questo tipo), doveva sorvegliare il porto di Alessandria. La torre era alta 120-140 metri. Diversi terremoti lo fecero crollare, ma rimangono rovine sottomarine.