sabato 14 novembre 2009

Trieste: la sua storia e i suoi monumenti


Trieste si affaccia sull'omonimo golfo, nella parte più settentrionale dell'Alto Adriatico, nell'estremo nord-est italiano. Il territorio cittadino è occupato in prevalenza da un pendio collinare che diventa montagna nelle zone limitrofe all'abitato.

L'antica Tergeste originariamente centro dei Galli Carni, divenne colonia sotto Augusto. Nell'alto Medioevo fu successivamente sotto i Goti, i Bizantini (539), i Longobardi (590, 752-774), i Franchi (787). Organizzatasi a libero Comune (1060), più volte sotto il dominio di Venezia (1202, 1285, 1369), passò nel 1382 agli Asburgo, rimanendo sotto il dominio asburgico fino al 1918, quando fu liberata dalle truppe italiane (3 novembre). In seguito alla seconda guerra mondiale, fu occupata (maggio 1945) dalla Iugoslavia e dalle truppe anglo-americane (giugno 1945). Per risolvere la questione delle frontiere tra Iugoslavia e Italia, fu costituito il Territorio Libero di Trieste (trattato di pace, Parigi 1947), comprendente due zone: zona A (Trieste e Muggia) sotto amministrazione anglo-americana, zona B (Capodistria, Pirano e Buie) sotto amministrazione iugoslava. In seguito a grave tensione tra Iugoslavia e Italia, l'accordo tra i due paesi concluso a Londra nel 1954 (Memorandum d’intesa) stabilì di affidare l’amministrazione delle due zone rispettivamente all’Italia e alla Iugoslavia.

I principali monumenti della città
Il Castello di Miramare. Venne costruito per volontà di Massimiliano d'Asburgo, fratello minore dell'imperatore d'Austria Francesco Giuseppe. È circondato da un ampio parco, dove furono trapiantate le più importanti specie di piante provenienti dai quattro continenti.

Il Colle di San Giusto. Su questo colle che domina la città, si possono visitare i resti dell'antico Foro romano, il Castello di San Giusto, la Cattedrale di San Giusto, che custodisce le spoglie del Patrono di Trieste (S. Giusto) e l'alabarda di San Sergio, simbolo della città.

Il Teatro romano. Si trova ai piedi del colle di San Giusto e risale al I-II secolo d.C. Poteva ospitare circa 6.000 spettatori e fu, probabilmente, costruito per volontà di Quinto Petronio Modesto, procuratore dell’imperatore Traiano. Nei secoli venne poi nascosto dalle case che vi sorsero sopra e fu riportato alla luce solo nel 1938.

Piazza dell'Unità d'Italia. La piazza, affacciata sul mare, è circondata da splendidi palazzi in stile neoclassico: il Comune di Trieste, il palazzo del Governo, il palazzo Lloyd.

Le Chiese di Trieste. Crocevia di culture provenienti dai vari Paesi dell'est e del nord Europa Trieste ospita Chiese di diversi culti religiosi, quali la chiesa serbo ortodossa di San Spiridione, la Chiesa greco ortodossa di San Nicolò, la Chiesa evangelica di Largo Panfili, il Tempio israelitico.

Il Faro della vittoria. Il faro venne costruito in onore dei caduti sul mare. Grazie alla sua portata luminosa è uno dei fari più potenti dell'adriatico.

La Risiera di San Sabba. Durante l'occupazione nazista la risiera di San Sabba fu trasformata in un campo di sterminio, l'unico in territorio italiano. Qui, nei forni crematori trovarono la morte migliaia di persone. Della struttura rimangono due edifici e le celle dove venivano internati i prigionieri. Una galleria fotografica testimonia l'orrore di quei terribili anni.

mercoledì 22 luglio 2009

L'Arciere sulcitano

Il Cleveland Museum of Art (Ohio) ha restituito all'Italia 14 reperti, trafugati dai tombaroli ed usciti illegalmente dal nostro paese, grazie a un'operazione voluta e realizzata da Carabinieri, Avvocatura dello Stato, Ministero dei Beni culturali, Magistratura, e resa possibile, ovviamente, dalla disponibilità del museo statunitense. Fra questi spicca un bronzetto di età nuragica, databile al IX-VIII secolo a.C., che raffigura un arciere con l'arco in spalla. Il reperto fu probabilmente trovato da qualche tombarolo presso il complesso nuragico di Grutt'e Acqua, nell'isola di Sant'Antioco, dove presto ritornerà per essere definitivamente esposto nel Museo Archeologico Comunale "Ferruccio Barreca". Subito ribattezzato "Arciere sulcitano", si distingue per la sua eccezionale fattura e per le sue ragguardevoli dimensioni, ben ventidue centimetri di altezza contro i dieci-quindici della media degli altri bronzetti. Esso raffigura un un soldato dotato di elmo sormontato da grandi corna di bue, con una arco nella mano sinistra e la destra alzata in segno di benedizione.

I cosiddetti "bronzetti" nuragici sono stati rinvenuti principalmente all'interno o in prossimità degli antichi luoghi di culto dell'epoca, quali soprattutto i ben noti "templi a pozzo". I bronzetti, che raffiguravano divinità o personaggi offerenti oppure oggetti legati al prestigio o alla vita quotidiana, erano offerti al tempio probabilmente sia per impetrare una grazia sia come ex-voto. Il numero dei bronzetti noti non raggiunge i 700 esemplari, anche se il numero di quelli falsi è considerevole e trova ospitalità anche presso prestigiosi musei europei e ricche collezioni private.

Il tesoro di Misurata torna a risplendere

Il più grande tesoro monetale romano, ritrovato nel 1981 a Misurata, in Libia, è fruibile in tutto il suo splendore grazie al lavoro dell'Istituto per le tecnologie applicate ai beni culturali (Itabc) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), che ha coordinato il restauro, lo studio storico, l'analisi composizionale e la digitalizzazione di questo patrimonio. Il tesoro, composto da 108 mila monete, fu rinvenuto casualmente durante l'esecuzione di lavori agricoli, dentro grossi vasi (olle, brocche, anfore), sotterrati in prossimità di due edifici, facenti parte forse di un luogo di cambio dei cavalli del cursus publicus - il servizio per il trasporto di merci o plichi appartenenti allo Stato - e di persone che viaggiavano per conto dell'amministrazione centrale. Databili tra il 294 e il 333 d.C., queste monete sono nummi (folles), ossia prodotti con una lega rame-stagno-piombo comprendente una piccola quantità di argento, caratterizzati da un arricchimento superficiale sottilissimo con il medesimo metallo. Anche se non è da escludere che il tesoro dovesse essere costituito da un numero maggiore di esemplari, si tratta più grande ritrovamento non solo di epoca romana, ma, probabilmente, di tutto il mondo antico. Oltre che per le dimensioni il rinvenimento si distingue perchè che getta nuova luce sia sulla storia dell'economia e della circolazione monetaria in Tripolitania nella prima metà del IV secolo d.C., sia sulla metallurgia e la tecnologia della produzione monetale di quel periodo.
Ma a chi apparteneva questo patrimonio? Si possono avanzare due ipotesi: il tesoro potrebbe essere il contenuto di una cassa destinata a erogare pagamenti oppure al ritiro di monete messe "fuori corso" anche al fine di recuperarne, mediante rifusione, il contenuto in argento.

Le monete, a partire dal 2007, sono state oggetto di un'accurata serie di analisi fisiche non distruttive, volte a definire la percentuale del contenuto in argento nella lega e a precisare, in associazione con altri metodi di indagine, la tecnologia di fabbricazione, elementi che aiutano a ricostruire l'inflazione e le periodiche crisi economiche e monetarie che travagliarono in quei decenni l'impero romano. Le misure si basano sull'utilizzo di sorgenti radioattive messe a disposizione dai laboratori del Cnr e dell'Istituto nazionale di fisica nucleare.

martedì 14 luglio 2009

Un'antica icona di San Paolo nelle catacombe di Santa Tecla a Roma

A Roma nelle catacombe di Santa Tecla, sulla via Ostiense, è stata scoperta una icona raffigurante San Paolo, risalente al IV secolo d.C. I restauratori che lavorano da oltre un anno al restauro delle catacombe, nel ripulire con il laser la patina calcarea che ricopre la volta dell'ipogeo, hanno messo in luce il volto di San Paolo: l'ovale magro, gli occhi grandi e profondi, la calvizie incipiente, la fronte ampia solcata da rughe di riflessione, la barba lunga a punta, insomma l'Apostolo raffigurato con i tratti tipici del pensatore e in particolare di Plotino, filosofo di riferimento della tarda antichità.

Quando fu affrescato, alla fine del IV secolo, Agostino non aveva ancora scritto Le Confessioni, quell'immagine di San Paolo riservata al culto è la più antica icona dell'apostolo finora conosciuta. La scoperta risale al il 19 giugno 2009 e rappresenta un evento straordinario che suggella in modo inatteso e sorprendente la conclusione dell'anno giubilare dedicato a San Paolo.

Le catacombe di Santa Tecla, lungo la via Ostiense, poco distanti dalla Basilica di San Paolo fuori le mura, sono note dal Settecento. Ė una catacomba comunitaria, vi si trovano i resti di centinaia di cristiani che vollero farsi seppellire vicino a Santa Tecla, una martire romana che non va confusa con la santa omonima amica di San Paolo, protagonista dell'antico apocrifo Acta Pauli et Theclae. Sulla volta c'è il viso di San Paolo, circondato un cerchio (clipeo) giallo oro su rosso vivo e, accanto, un altro ritratto di San Pietro, la «roccia», raffigurato quindi con il volto più forte e rude del pescatore. Una sepoltura raffinata, che potrebbe essere ispirata alla basilica dei tre imperatori, dedicata a San Paolo e voluta da Costantino, che nel IV secolo fu costruita poco lontano e andò distrutta nell'Ottocento. Nel cubicolo sono stati scoperti altri due apostoli, forse Giovanni e Giacomo, e ancora un Daniele tra i leoni e il sacrificio di Isacco.

venerdì 5 giugno 2009

Storia dell'albergo Scala di Ferro, viale Regina Margherita - Cagliari

Il complesso edilizio noto come "Scala di Ferro" fu costruito sopra il cinquecentesco bastione di Nostra Signora di Monserrato (chiamato anche bastione "dei morti" o di San Giacomo), sulle antiche mura che proteggevano la zona portuale. Il bastione fu utilizzato dal 1850 dalla Guardia Nazionale come piazza d'armi per poi ospitare, nel 1859, lo Stabilimento Balneare Cerruti, progettato e costruito dall'ingegnere Antonio Cerruti, per dotare la città di bagni pubblici. Le due torri merlate, in stile neogotico, risalgono al 1869, anno dell'inaugurazione, mentre l'avancorpo centrale interno, che si affacciava su un giardino alberato, venne costruito sul finire dello stesso secolo. L'albergo, per mano del ristoratore Luigi Caldanzano, aprì i battenti nell'ottobre del 1877 ma finì all'asta sedici anni più tardi. Successivamente l'ingegner Fulgenzio Setti lo acquistò e introdusse le acque termali nello stabilimento balneare, ripristinò le piscine e restaurò le strutture alberghiere che, nelle stampe pubblicitarie dei primi del Novecento, mutarono il nome in "Castello Setti". Nel 1921 l'albergo ospitò il celebre scrittore D.H. Lawrence durante il suo soggiorno a Cagliari. Nel 1961 la Compagnia Italiana "Jolly Hotels" acquistò il complesso e dopo averlo restaurato, lo chiuse qualche anno più tardi. Dopo anni di abbandono, sulla base del progetto presentato dalla attuale società proprietaria, nell'agosto 2000, in accordo con il Comune di Cagliari, sono iniziati i lavori per la realizzazione della nuova sede della Prefettura con residenza annessa e sottostanti parcheggi.

Durante i lavori di rifacimento del complesso della Scala di Ferro è stato possibile mettere in luce una porzione della necropoli di età romana, già nota da precedenti ritrovamenti e scavi archeologici. Sotto il riempimento cinquecentesco sono emerse diverse tipologie sepolcrali attribuibili a fasi cronologiche distinte. L'area, nel tratto nord-occidentale, ha restituito sepolture a cremazione (in fosse o urne) e ad inumazione, con corredi databili dalla metà del III secolo a.C. al I secolo d.C. Più ad est è stata individuata una piccola area sepolcrale monumentale inviolata, con quattro inumazioni in sarcofago, quattro incinerazioni in cinerari sormontati da cippi ed una mensa in pietrame e calce. I cippi ed i cinerari, in calcare bianco locale, sono ascrivibili ad un arco cronologico compreso tra la fine del I secolo e la prima metà del II secolo d.C., mentre la mensa e i sarcofagi sono stati deposti in epoca successiva. La vita di quest'area dovette continuare ancora dopo la sistemazione dei sarcofagi, nei quali si notano tracce di manomissioni da porre in relazione con successive aperture per nuove deposizioni. Presso l'estremità settentrionale dell'area è venuto alla luce un sepolcro monumentale di pianta quadrangolare costruito con blocchi calcarei squadrati. Il monumento, violato già in antico, presentava all'interno, sei nicchie contenenti urne cinerarie.

lunedì 27 aprile 2009

Le più antiche orme di un piede moderno

Gli antenati dell'uomo hanno iniziato a camminare con un piede anatomicamente moderno circa 1,5 milioni di anni fa. Lo dimostra un gruppo di impronte lasciate da individui Homo ergaster, il primo degli ominini dotato delle stesse proporzioni corporee di Homo sapiens. La scoperta è stata fatta da alcuni ricercatori della Rutgers State University of New Jersey e della Bournemouth University, in Gran Bretagna, pubblicato dalla rivista "Science". Le orme sono state scoperte in due strati sedimentari risalenti, appunto, a 1,5 milioni di anni fa in prossimità della località di Ileret nel nord del Kenya e recano traccia della forma e della struttura dei tessuti molli, dati che non è possibile ricavare dai resti fossilizzati delle ossa. Lo strato sedimentario superiore conteneva tre serie di tracce: due di due orme ciascuna, e una di sette impronte, più alcune altre impronte sparse. Un secondo strato sedimentario, cinque metri più profondo, conservava una serie di due impronte più un'impronta isolata, probabilmente dovuta a un ragazzo. In questi campioni, l'alluce appare parallelo alle altre dita del piede, inoltre l'impronta mostra un arco plantare molto pronunciato, simile a quello dell'uomo moderno, e dita corte, adatte a una stazione eretta con andatura bipede usuale. Dimensioni, spaziatura e profondità delle impronte hanno permesso di avanzare ipotesi sull'andatura, il peso e l'altezza del soggetto, tutti risultati confrontabili con quelli dell'uomo moderno. Le impronte dell'adulto indicano in particolare una persona di un'altezza di 1,75 metri. Diverse altre impronte fossili di ominidi sono state scoperte nei decenni scorsi, le più famose delle quali sono quelle trovate nel 1978 da Mary Leakey a Laetoli, in Tanzania, che risalgono a ben 3,6 milioni di anni fa. Queste, attribuite a un possibile più antico antenato dell'uomo, Australopithecus afarensis, indicavano una postura eretta e un andatura bipede, ma l'arco plantare era molto meno accentuato e gli alluci erano divergenti.

giovedì 26 marzo 2009

Il meccanismo di Antikythera

Intorno al 65 a.C. una nave romana affondò, con il suo carico, vicino alla costa nord della piccola isola di Antikythera, tra il Peloponneso e Creta. Il relitto fu trovato, poco prima della Pasqua del 1900 e, fra le statue di marmo e di bronzo, i gioielli e le anfore, venne recuperato anche un grumo di calcare e metallo incrostato. Solo dopo due anni Valerios Stais, direttore del Museo Archeologico di Atene, dove è ancora conservato lo strumento, si rese conto della straordinarietà dell'oggetto: non un blocco di bronzo corroso, ma un meccanismo complesso, dotato di ingranaggi e quadranti, con iscrizioni in greco antico. Il meccanismo di Antikythera è, infatti, uno strumento astronomico che anticipa tecnologie che verranno scoperte solo alla fine del Medioevo, con la costruzione dei primi orologi. Il suo movimento era composto da una trentina di ingranaggi azionati da un'unica manovella. Sulla faccia anteriore, un quadrante di bronzo segnava il movimento tra le costellazioni dello zodiaco, del sole, della luna e probabilmente degli altri pianeti conosciuti all'epoca (Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno). Sul retro, invece, c'erano due quadranti sovrapposti, entrambi con incisa una scala a spirale e un puntatore estensibile. Quello superiore seguiva il ciclo metonico di 19 anni, che è il periodo dopo il quale le fasi lunari si ripresentano negli stessi giorni dell'anno solare; il secondo, invece, indicava il ciclo di Saros di 18 anni, utile per prevedere le eclissi. Sorprendentemente il meccanismo riproduceva anche le variazioni di velocità della luna e dei pianeti lungo le loro orbite. Alcuni studiosi delle Università di Cardiff e di New York hanno recentemente scoperto che i nomi dei mesi incisi sul meccanismo appartengono a un calendario utilizzato solo nella Grecia occidentale e nella colonia di Siracusa. Il collegamento con Siracusa lancia un'intrigante ipotesi: l'ispiratore del meccanismo di Antikythera potrebbe essere stato Archimede, che costruì strumenti astronomici meccanici; l'ispiratore, ma non il costruttore, visto che il meccanismo è datato tra il 150 e il 100 a.C., mentre Archimede morì nel 212 a.C. Gli stessi studiosi hanno anche scoperto sulla faccia posteriore un piccolo quadrante secondario che segnava il calendario delle Olimpiadi, evento importantissimo per la vita sociale dell'epoca, a dimostrazione di come la tecnologia fosse integrata nella cultura dell'antica Grecia.